I diari della pandemia

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Data di pubblicazione

08/26/2020
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Autrice del post

Cristina Maiorano

Voglio riproporre qui una vecchia pagina di diario scritta durante il lockdown. Ricordi non troppo lontani.

Domenica 5 aprile 2020

Domenica 5 aprile 2020

Sto cercando di fare chiarezza sull’ordine delle priorità nella mia vita, e proprio per questo ieri ho iniziato la giornata modificando il mio profilo LinkedIn per aggiornarlo con i nuovi impieghi svolti da un paio di anni a questa parte. Ammesso e non concesso che serva a qualcosa farlo.

In realtà, che sia utile o no, mi sono sentita una persona migliore, più organizzata e piacevolmente sorpresa dal numero di cose che sono riuscita a fare in così poco tempo. Insomma, mi sono sentita soddisfatta.

Di me.

Di me, sì. Posso anche dirlo.

Finalmente sono in grado di riconoscerlo e voglio proprio dirlo. Anzi scriverlo, che forse è anche meglio. Sai com’è, verba volant scripta manent.

Le altre cose che mi sono premurosamente segnata su un foglietto volante sono:

  1. Scrivere un post sull’ultimo libro letto in questi giorni, ovvero Liberati dalla brava bambina di Maura Gancitano e Andrea Colamedici (due filosofi che stimo moltissimo) e magari anche del libro precedente, Porto il velo, adoro i Queen di Sumaya Abdel Qader;
  2. Cercare di capire come attrezzarmi per iniziare a creare e produrre alcuni podcast su varie tematiche – tutte affini alla critica d’arte e ai consigli di lettura – senza spendere un solo centesimo;
  3. Produrne le relative stories di Instagram (cosa che probabilmente è più facile che avvenga prima del punto numero 2);
  4. Continuare a leggere un po’ per volta, ma con costanza, il libro La forza della resilienza. I 12 segreti per essere felici, appagati e calmi di Rick Hanson – il titolone promette bene – che ho scaricato sull’app di Amazon Kindle, per la quale ho anche sottoscritto un abbonamento gratuito (ancora per qualche giorno) e che non intendo assolutamente rinnovare.
    Questo perché odio i libri in digitale, e per quanto io ritenga sia un indiscutibile vantaggio possedere una intera biblioteca immateriale contenuta in una manciata di gigabyte, non poter – per ovvie ragioni – avvertirne il volume o sentire il profumo della carta stampata allo scartabellarne le pagine, in verità mi inquieta;
  5. Programmare tutta una serie di post e di stories riguardanti le città deserte al tempo della pandemia, comparate ai vuoti e ai silenzi urbani dipinti da grandi artisti quali De Chirico e Sironi. Con un focus proprio sulle città metafisiche, il cui punto focale potrebbe con tutta probabilità suonare così: «Siamo proprio distanti, lontanissimi, dalle metropoli rumorosissime e accecanti raffigurate dai Futuristi. Convulse, disordinate, vivide di suoni. Quelle metafisiche sono città del pensiero, assonnate, convalescenti, magiche, misteriose, enigmatiche, oscure. Teatri urbani custoditi in atmosfere assortite, invasi da un sole incerto sotto un cielo autunnale color verde bottiglia, con nuvole opprimenti che corrono veloci. Tanto veloci che non si capisce neanche bene se si tratti di alba o tramonto.

Tutto sembra fermo, addormentato. Eppure…

Eppure, siamo in attesa di qualcuno o di qualcosa.

Come avviene nei sogni, anche i luoghi dipinti da De Chirico – Monaco di Baviera, Firenze, Torino, Parigi, Ferrara – sono lambiti da presagi. In essi la dimensione della orizzontalità incontra quella della verticalità. Le città italiane e le città europee sono tutte città verticali, non fosse altro perché hanno una storia molto lunga.

Piazze.

Piazze leggermente inclinate, sgombre, costellate di presenze assurde, dislocate con discrezione.

E poi?

Portici.

E poi?

Ciminiere, castelli.

Torri con finestre sbarrate, sormontate da bandiere appuntite che garriscono al vento.

Bussole.

Bussole che indicano ai naviganti da che parte tira il vento e infine statue imponenti, impietrite nello stupore.

Sculture.

Sculture immobili, decostruite.

De Chirico sembra ribaltare all’esterno gli interni.

Le strade somigliano a vecchi armadi, i cortili ricordano scrivanie ricolme di oggetti, le piazze si danno come collezioni di rovine antiche e di oggetti moderni.

Gli abitanti? Gli abitanti sono andati via e nella fuga, dietro di sé, hanno lasciato pochi oggetti».

Per poi rintracciare l’omaggio di Dalì a De Chirico, nel suo Paesaggio con fanciulla che salta la corda, in cui egli «propone un paesaggio desertico, desolato, nel quale si disegna l’ombra di una fanciulla che gioca con la corda, rilettura del dechirichiano Mistero e malinconia di una strada, mentre sullo sfondo si staglia un imponente edificio con un ampio campanile catalano – raffinata citazione del tempio dello Sposalizio della vergine di Raffaello». Ed infine passare in rassegna, con un balzo oltreoceano, Edward Hopper e le sue atmosfere hitchcockiane, per poi tornare in Europa con Magritte e Balthus.

Insomma, un lungo percorso di città deserte, che rivelano qualcosa di invisibile, come forse stiamo sperimentando nostro malgrado proprio in questi giorni, rilette attraverso le firme – i dipinti – dei grandi artisti citati.

6. Provare a riprendere in mano il mio sito internet cristinamaiorano.com – ora cristinamaiorano.it – che per la verità è sempre rimasto un po’ nell’iperuranio. Mea culpa.


Salvador DalíLandscape with a Girl Skipping Rope (paesaggio con fanciulla che salta la corda), 1936, olio su tela, 293 x 280 cm. Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen

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